Catechesi e riflessioni

Catechesi e riflessioni (9)

Ed è ancora Natale, con i regali e gli auguri per parenti e amici, come l’anno passato, come sempre, come se nulla fosse accaduto e il tempo si fosse fermato riportandoci indietro, in una dimensione che non è più la nostra e che non ci appartiene.
Ed è ancora Natale, perché Lui, il Bambino, il Dio che si è fatto uomo per noi, nonostante tutto e nonostante noi stessi, torna a nascere in mezzo a noi.
Ed è ancora Natale e vorrei augurare a tutti i miei amici e parenti uno splendido Natale... Ma che non sia il Natale che tutti si aspettano, fatto di luci e regali, panettoni ed alberi scintillanti, tutte cose che servono solo a far arricchire coloro che le producono.
E’ ancora Natale e auguro a ciascuno di conoscere un bambino di nome Gesù, arrivato sulla terra per portare pace e salvezza, atteso da sempre e da tutti, ma mai accolto nella sua povertà e semplicità, anzi tenuto distante dalle nostre realtà più o meno ricche ed agiate.
Apriamo le porte dei nostri cuori a questo Bambino... E' Lui il nostro Natale! Un Dio che si è fatto uomo venendoci a trovare là dove siamo, che chiede di nascere in noi mostrandosi nella nuda semplicità di un infante e facendoci così capire che siamo noi a dover fare il primo passo verso di Lui...
Buon Natale di vero cuore a tutti, io vado a cercare, ancora una volta, il Bambino e, trovatolo, ripartirò, come sempre, da Lui...

"Hanno sloggiato Gesù" - Dall’omonimo libro di Chiara Lubich

S’avvicina Natale e le vie della città s’ammantano di luci. Una fila interminabile di negozi, una ricchezza fine, ma esorbitante.
A sinistra della nostra macchina ecco una serie di vetrine che si fanno notare. Al di là del vetro nevica graziosamente: illusione ottica.
Poi bambini e bambine su slitte trainate da renne e animaletti waltdisneyani. E ancora slitte e Babbo Natele e cerbiatti, porcellini, lepri, rane, burattini e nani rossi. Tutto si muove con garbo. Ah! Ecco gli angioletti… Macché! Sono fatine, inventate di recente quali addobbi al paesaggio bianco.
Un bambino con i genitori si leva sulle punte dei piedini e osserva, ammaliato.
Ma nel mio cuore l’incredulità e poi quasi la ribellione: questo mondo ricco si è «accalappiato» il Natale e tutto il suo contorno, ed ha «sloggiato» Gesù!
Ama del Natale la poesia, l’ambiente, l’amicizia che suscita, i regali che suggerisce, le luci, le stelle, i canti. Punta sul Natale per il guadagno migliore dell’anno…Ma a Gesù non pensa!
«Venne fra i suoi e non lo ricevettero…».
«Non c’era posto per Lui nell’albergo…».
Neppure a Natale.
Stanotte non ho dormito; questo pensiero mi ha tenuto sveglia.
Se rinascessi farei tante cose. Fonderei un’Opera al servizio dei Natali degli uomini sulla terra. Stamperei le più belle cartoline del mondo. Sfornerei statue e statuette con l’arte più pregiata. Inciderei poesie, canzoni passate e presenti; illustrerei libri per piccoli e adulti su questo «mistero d’amore», stenderei sceneggiature per rappresentazioni o film. Non so quel che farei…
Oggi ringrazio la Chiesa che ha salvato le immagini. Quando sono stata, anni fa, in un paese in cui dominava l’ateismo, un sacerdote scolpiva statue d’angeli per ricordare alla gente il Cielo.
Oggi lo capisco di più. Lo esige l’ateismo pratico che ora invade il mondo dappertutto.
Certo che questo tenersi il Natale e bandire invece il Neonato è qualcosa che addolora. Che almeno in tutte le nostre case si gridi Chi è nato, facendogli una festa come non mai.

L’8 dicembre ricorre la Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, Madre di Dio. Sono trascorsi solo 151 anni dalla promulgazione di questo dogma da parte di Papa Pio IX, avvenuta con la bolla “Ineffabilis Deus”. Tracciare, però, su queste pagine una storia completa, sia pure sintetica, di tutto il percorso storico-teologico che ha portato alla promulgazione del dogma dell’Immacolata Concezione, è impresa ardua e quasi impossibile. Non solo per la pochezza di chi scrive, ma anche per lo spazio esiguo di cui si dispone. Una buona premessa può essere la raccomandazione, rivolta a tutti, di elevarsi alla stessa altezza di Maria Immacolata, poiché essa vive ad un livello superiore, dove l’aria non è inquinata, né toccata dalle passioni e tentazioni che la nostra vita associata deve affrontare quotidianamente.

Certo Papa Pio IX, in quel lontano 8 dicembre 1854, compì un vero atto di vita mistica. Quel giorno, appena aperte le porte della basilica, San Pietro si riempì completamente di una folla innumerevole di persone, tanto da scoraggiare lo stesso Pontefice. Come avrebbe potuto trovare, pensava il Papa, le forze e il fiato per pronunciare in modo chiaro e forte per tutti, le parole della bolla? Infondendosi coraggio, tuttavia, iniziò a parlare, con un tono di voce così potente (non esistevano ancora i microfoni) da farsi udire da tutti i presenti, e un fascio di luce, la cui esatta origine rimane sconosciuta, lo avvolse e illuminò completamente.

Così si esprime l’Ineffabilis Deus: “La beatissima sempre Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale”. Questa verità di fede è stata riconosciuta dal popolo dei fedeli da tempo immemorabile, ancor prima che studiosi e teologi cominciassero a trattare coerentemente l’argomento. “Maria, Madre di Dio, è Immacolata”; è questo il factum ecclesiam, la concezione, in altre parole, con la quale il popolo di Dio è sempre andato avanti, il parere della Chiesa universale che, alla fine, ha trovato ufficializzazione nella bolla papale; e Maria stessa, quando quattro anni più tardi apparve a Lourdes, si autodefinì “l’Immacolata Concezione”.

Certamente e ad onore del vero, le Sacre Scritture e la tradizione tacciono sull’argomento; ma già nel V secolo d.C. con Pelagio, Giuliano di Eclano e Agostino, si comincia ad affermare che la pietà impone di considerare Maria senza peccato. Vari teologi, ad iniziare dall’XI secolo, cominciarono a prendere in seria considerazione l’enunciato popolare e l’intuizione dei poveri e degli umili a fronte della scienza dell’aristocrazia teologica del tempo. Fra loro si ricordano Eadmero e Melchior Cano; ma a risolvere il problema fu l’illuminata intuizione di un grande teologo francescano del trecento, Giovanni Duns Scoto. Egli pensò che il valore universale della Redenzione di Cristo e la santità originale di Maria potevano coesistere, e in questo modo: Maria nacque veramente priva del peccato originale, e ciò avvenne proprio in virtù della salvezza operata da Gesù, che a Maria fu applicata prima della nascita e non dalla Pasqua in poi, come per tutti gli altri uomini. Maria, in altre parole, non fu “sanata” dalla Grazia, ma “preservata” dalla medesima.

Proprio in questo “privilegio” particolare ed esclusivo che Dio ha fatto a Maria, sta il significato del dogma dell’Immacolata Concezione. Dovendo accogliere in Lei e generare il Figlio di Dio che avrebbe portato la salvezza e distrutto il peccato, Maria è nata senza macchia di peccato originale, nel quale ancor oggi tutti noi nasciamo. Lei è venuta alla luce beneficiando in anticipo dell’opera che il suo Figlio, che rimane “il” redentore in assoluto, avrebbe compiuto nel sacrificio della croce. Ecco perché, fin dall’antichità, Maria è stata definita “Panaghia”, vale a dire la “Tuttasanta”, la “Tota Pulchra”, capolavoro di bellezza della Creazione, immagine perfetta dell’uomo e della donna redenti da Cristo.

La Festa dell’Immacolata Concezione che con gioia celebriamo ogni anno l’8 dicembre, solennità mariana per eccellenza del Tempo d’Avvento, vuole predisporci a vivere con lo stesso Cuore Immacolato della Madre l’accoglienza di Gesù nella nostra vita, in altre parole il senso vero del Natale. In Maria il credente trova la primizia dell’opera redentiva di Cristo e la conferma che il suo destino sarà come quello di chiunque altro accoglie, come ha fatto Lei, il dono vitale di Cristo. Seguendo Maria, che ha sofferto, lottato e combattuto contro la sofferenza e il male, ripetendo il suo “si” incondizionato fino ai piedi della croce del figlio, troveremo la strada che conduce verso la santità e la vita nuova.

Riflessione sulla Solennità di Tutti i Santi di Oreste Arena

Solennità di Tutti i Santi; Solennità antichissima della Chiesa che intendeva onorare quegli amici di Dio, canonizzati o no, che sono in possesso della gloria del cielo. La Chiesa, da sempre, ha la gioia di esaltare questi suoi membri eletti che formano l’assemblea festosa dei fratelli “divenuti modello di vita e insieme potenti intercessori” (Lumem Gentium 50).
Ma, - mi sono chiesto - se i Santi è possibile incontrarli, ascoltarli, conoscerli, com’è possibile per noi, comuni esseri umani, comprendere e riconoscere la santità? Che cosa può fare oggi di un uomo normale, un Santo? E infine, chi è veramente il “Santo”?
È una caratteristica dei santi Vivere il Vangelo di Cristo senza fare sconti e riduzioni a sè stessi, cercare prima di tutto il Regno di Dio e porlo sopra ogni altra cosa o pensiero, fidare solo nella Provvidenza Divina che giorno per giorno, attimo per attimo, provvede a tutte le nostre necessità. E ogni cristiano autentico è santo sempre, in tutta la sua condotta, perché Santo è il nome di colui che lo ha chiamato e perché, pur avendo messo Dio al primo posto nella sua vita, non ha mai smesso di vivere da uomo normale. Non gli è stato chiesto, né la cosa gli è apparsa mai necessaria.
Eppure, i cristiani di oggi, a qualunque confessione appartengano, dimostrano di temere di vivere da santi, come se la santità fosse sinonimo di fragilità o debolezza, di rinuncia alla carriera (vera o presunta) e alle comodità e ai privilegi acquisiti, oppure di offuscamento di un’immagine sociale, ritenuta dignitosa e rispettabile, che nel corso degli anni si sono costruita. Molti, inoltre, vedono nel santo il goffo tentativo di sostituire a Dio un povero essere umano, per farne un oggetto quasi di culto (e spesso questo, purtroppo, sembra apparire vero)…
La santità, però, esiste davvero e risplende in tutti i credenti; il cristiano, in particolare, quanto più s’impegna nelle cose ordinarie della sua vita (la famiglia, il lavoro, la casa, gli amici, ecc.), tanto maggiori occasioni avrà per vivere la straordinarietà del Vangelo nell’ordinario della propria esistenza. La santità sarà, allora, la sua normalità di figlio di Dio.
E non preoccupiamoci di fare dei santi esempi edificanti da porre sugli altari per essere oggetto di venerazione, perché i santi sono in mezzo a noi! La santità, quando c’è, non si vede, non si vanta e non si fa notare; chissà quanti santi ci sono stati o lo sono tuttora, vicini nella nostra vita, nostri parenti, amici, compagni o semplici conoscenti, nostri colleghi, vicini, dipendenti o alunni, che ci hanno dato il loro aiuto discreto e disinteressato, che ci hanno fatto del bene edificandoci con la loro condotta, che ci hanno donato silenziosamente il loro amore e per i quali non abbiamo avuto né considerazione, né rispetto o gratitudine…
Basterebbe così poco… Basta uno sguardo e un sorriso per passare dalle cose materiali a quelle spirituali. Ma in quello sguardo e in quel sorriso deve esserci tutto il Paradiso! Basta fermarsi qualche secondo in più per amare un fratello come lui vorrebbe, facendoci carico dei suoi pesi, o per lasciarsi amare da lui, svuotandoci da ogni nostro pensiero e dimenticando la fretta. La fretta, questa cattiva consigliera che sempre più sta dominando le nostre vite, condannandoci alla morte spirituale.
Amarsi, dunque, fra noi e con tutti senza fretta, come suggeriva una santa di oggi, senza superficialità, ma perfettamente, senza trascurare nessun particolare. La santità, allora, si propagherà come un fuoco e diventerà facilmente riconoscibile perché noi stessi ne saremo contagiati.
Oggi più che mai la santità è necessaria per la nostra salvezza; ma non dobbiamo pensare di poterci salvare con le nostre sole forze, perché il mondo di oggi, dove tutte le distanze si sono ridotte e dove tutti sanno di tutto, non lo consentirebbe. Abbiamo bisogno dei nostri fratelli per salvarci tanto quanto loro hanno bisogno di noi. In altre parole, c’è bisogno di una spiritualità comunitaria che diventi santità di popolo.
Papa Giovanni Paolo II, non molti anni fa, ebbe a dire che “una spiritualità comunitaria o collettiva è un aspetto costitutivo della vocazione cristiana”, perché – egli diceva – “il Signore Gesù non ha chiamato i discepoli a una sequela individuale, ma inscindibilmente personale e comunitaria”. Egli, poi, dà della Chiesa la definizione che usò il Concilio nella Lumen Gentium, 1: “Icona della Santissima Trinità” e “mistero di comunione e sacramento di unità”, per cui “la comunione tra i membri della Chiesa è il primario e il principale segno che essa offre perché il mondo possa credere in Cristo”. Infatti, – proseguiva - “Essere uno in Cristo è la prima e permanente forma di evangelizzazione attuata dalla comunità cristiana”.
Il cristiano di oggi deve poter realizzare quella che Giovanni Paolo II ha definito “la nuova evangelizzazione”, perché è il nostro tempo che lo esige. Per il papa, infatti, evangelizzare significa formare in Cristo “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Ecco delineato il nuovo modello di santità di cui si diceva più sopra - la santità di popolo - e le nuove figure di santi-insieme che, vivendo una spiritualità di comunione, sono capaci di rivelare Cristo, vivente in mezzo a loro, a tutti gli uomini.
La schiera dei Santi che sono arrivati in Paradiso e che già vivono in questa dimensione, ci aspetta, desiderosa solo di averci con loro e pronta ad accoglierci in comunione celeste con la Santissima Trinità.
Coraggio, allora. Abbiamo tanti stimoli per puntare alla santità, ma con amore verso i fratelli, consapevoli di avere bisogno anche di loro, e senza avere fretta…

Ricordo una fredda sera di parecchi anni fa. Era il tempo dell’Avvento ed io mi accingevo ad entrare in chiesa per la Messa vespertina quando scorsi, seduto accanto al portone d’ingresso, tristissimo, col capo reclinato sul petto, un giovanotto nordafricano che chiedeva l’elemosina, immagine della miseria e della desolazione al tempo stesso. Altre volte questo ragazzo era entrato in chiesa per chiedere qualcosa ma, essendo ubriaco, aveva sempre ricevuto risposte negative ed era stato messo alla porta con decisione. Ad un tratto, non sentii più il bisogno d’entrare in chiesa per trovare Gesù: l’avevo proprio davanti a me! Mi chinai su di lui sedendomi quasi al suo fianco, gli chiesi il suo nome e da quale città proveniva e, parlandogli, gli restai accanto. Si chiamava Mohamed ed era nativo di Orano, in Algeria. Era stato arruolato nell’esercito algerino per cinque anni e poi era venuto in Italia in cerca di lavoro. Aveva fatto il bracciante agricolo in provincia di Latina, ma un giorno litigò con alcuni braccianti polacchi, ferendone uno. Perse così il lavoro e adesso era lì, solo e senza aiuti di sorta.
Mentre ascoltavo attentamente il suo racconto, vidi il suo viso cambiare lentamente espressione, illuminato da un tenue sorriso. Chissà da quanto tempo, pensai, non riusciva più a confidarsi con qualcuno, o più semplicemente, a trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo.
Gli dissi - “Ma perché non torni al tuo paese, nella tua famiglia, anziché vivere per strada in queste condizioni?”.
Mi rispose: - ”Se mio padre sapesse quello che ho fatto e in che modo vivo, mi ucciderebbe!”. -
La Messa intanto era finita e la gente usciva alla spicciolata, distratta. Qualcuno lasciava nel suo berretto, posato lì davanti per terra, qualche moneta. Io rimasi accoccolato al suo fianco, quasi a volerlo proteggere; tutti mi conoscevano. Mi resi conto che stavo chiedendo l’elemosina con lui!
Alla fine, quando tutti andarono via, il ragazzo si alzò e, sotto la luce chiara della luna, vidi con sorpresa mista a soddisfazione, un volto disteso e sereno e due occhi pieni di gioia che un’ora prima non avevo visto. Continuammo a parlare ancora per un po’.
- “Tu credi in Dio?” - gli chiesi.
- “Si, ci credo” - mi rispose.
- “Sai – continuai – il mio Dio è uguale al tuo Allah: è amore”.
Adesso sembrava proprio un’altra persona; era felice.
- “Voglio offrirti qualcosa” - mi disse - “Se mi aspetti, vado al bar qui vicino e ti porto quello che vuoi”.
Lo guardai ancora con stupore, considerandolo attentamente; era mal messo e indossava panni logori e sporchi.
- “Ma no, non posso accettare!” - mi giustificai.
E lui, insistente: - ”Almeno un caffè te lo voglio offrire”. -
Ed io non fui capace di rifiutarlo; mi sembrava, respingendo quel suo gesto spontaneo, di offendere la sua dignità di uomo e di negare la sua capacità d’amare.
Quella sera imparai che anche il più povero essere umano della terra era capace di donare; che donare non consiste solo nel fare doni fatui, ma significa soprattutto donarsi; che anche nel villaggio globale che è divenuto questo nostro mondo d’oggi, è possibile fare un regalo di Natale d’inestimabile valore, il più bello e il più gradito, e lo può fare chiunque: il dono gratuito di sé.

P.s.: sembra strano, ma posso assicurare che anche Mohamed ha avuto il suo centuplo!

 


Molti cristiani d'oggi sono convinti di non possedere una fede forte o di non averla affatto, sentendosi così inferiori a tutti gli altri, quasi come menomati. Non esiste niente di più sciocco di una tale convinzione! La fede non può essere solamente un argomento di dotte discussioni accademiche, né si può dimostrare semplicemente parlandone. Per capire se dentro di noi esiste vera fede bisogna avere il coraggio di viverla, mettendosi alla prova giorno per giorno. E’ come entrare in una stanza buia: non sapremo mai se in quella stanza c’è la luce se non accenderemo l’interruttore.
Io sono convinto che se ognuno di noi avesse questo coraggio, se cioè avesse la forza – nel suo piccolo e con tutta l’umiltà e l’amore necessari – di far brillare la propria fede come una stella, insieme potremmo contribuire a salvare il mondo intero.

Dal Catechismo della chiesa cattolica

Il Battesimo è uno dei tre Sacramenti (sacramento = segno visibile ed efficace) dell’iniziazione cristiana, insieme alla Confermazione e all’Eucaristia. Tali Sacramenti costituiscono i fondamenti della vita cristiana: i fedeli, rinati nel Battesimo, sono corroborati dalla Confermazione e nutriti dall’Eucaristia.
Il Battesimo prende tale nome a motivo del rito centrale con il quale è celebrato: battezzare significa immergere nell’acqua. Chi viene battezzato è immerso nella morte di Cristo e risorge con lui come «nuova creatura» (2 Cor 5,17). Lo si chiama anche «lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo». (Tt 3,5), e «illuminazione», perché il battezzato diventa «figlio della luce» (Ef 5,8).

Nell’Antica Alleanza si trovano varie prefigurazioni del battesimo: l’acqua, fonte di vita e di morte; l’arca di Noè, che salva per mezzo dell’acqua; il passaggio del Mar Rosso, che libera Israele dalla schiavitù egiziana; la traversata del Giordano, che introduce Israele nella terra promessa, immagine della vita eterna.
Colui che porta a compimento tali prefigurazioni è Gesù Cristo, il quale, all’inizio della sua vita pubblica, si fa battezzare da Giovanni Battista nel Giordano; sulla Croce, dal suo fianco trafitto, effonde sangue e acqua, segni del Battesimo e dell’Eucaristia, e dopo la sua Risurrezione affida agli Apostoli questa missione: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». (Mt 28, 19-20).

Dal giorno della Pentecoste la Chiesa amministra il Battesimo a chi crede in Gesù Cristo. Il rito essenziale di questo Sacramento consiste nell’immergere nell’acqua il candidato o nel versargli dell’acqua sul capo, mentre viene invocato il Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ogni persona non ancora battezzata è capace di ricevere il Battesimo.
La Chiesa battezza i bambini perché, essendo nati col peccato originale, essi hanno bisogno di essere liberati dal potere del Maligno e di essere trasferiti nel regno della libertà dei figli di Dio.
Ad ogni battezzando è richiesta la professione di fede, espressa personalmente nel caso dell’adulto, oppure dai genitori e dalla Chiesa nel caso del bambino. Anche il padrino o la madrina e l’intera comunità ecclesiale hanno una parte di responsabilità nella preparazione al Battesimo (catecumenato), come pure nello sviluppo della fede e della grazia battesimale.

I ministri ordinari del Battesimo sono il Vescovo e il presbitero; nella Chiesa latina, anche il diacono. In caso di necessità, chiunque può battezzare, purché intenda fare ciò che fa la Chiesa. Egli versa dell’acqua sul capo del candidato e pronunzia la formula trinitaria battesimale: «Io ti battezzo nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».

Il Battesimo è necessario alla salvezza per coloro ai quali è stato annunziato il Vangelo e che hanno la possibilità di chiedere questo Sacramento. Tuttavia, poiché Cristo è morto per la salvezza di tutti, possono essere salvati anche senza Battesimo quanti muoiono a causa della fede (Battesimo di sangue), i catecumeni e anche tutti coloro che sotto l’impulso della grazia, senza conoscere Cristo e la Chiesa, cercano sinceramente Dio e si sforzano di compiere la sua volontà (Battesimo do desiderio). Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa nella sua liturgia li affida alla misericordia di Dio.

Il Battesimo produce diversi effetti: rimette il peccato originale, tutti i peccati personali e le pene dovute al peccato; fa partecipare alla vita divina trinitaria mediante la grazia santificante, la grazia della giustificazione che incorpora a Cristo e alla sua Chiesa; fa partecipare al sacerdozio di Cristo e costituisce il fondamento della comunione con tutti i cristiani; elargisce le virtù teologali e i doni dello Spirito Santo. Il battezzato appartiene per sempre a Cristo, essendo segnato col suo indelebile sigillo (carattere).

Il nome cristiano ricevuto nel Battesimo è importante, perché Dio conosce ciascuno per nome, cioè nella sua unicità. Il nome che il cristiano riceve nella Chiesa sarà preferibilmente quello di un santo, in modo che questi offra al battezzato un modello di santità e gli assicuri la sua intercessione presso Dio.

 

Da una riflessione di Giovanni Paolo II alle Giornate Mondiali della Gioventù a Parigi, il 23 agosto 1997

Il Battesimo è il più bello dei doni di Dio, dato che ci invita a diventare discepoli del Signore. Ci fa entrare nell’intimità di Dio, nella vita trinitaria, dall’oggi e fino all’eternità. È una grazia data al peccatore, che ci purifica dal peccato e ci apre un avvenire nuovo. È un bagno che lava e che rigenera. È un’unzione che ci conforma a Cristo, Sacerdote, Profeta e Re. È un’illuminazione, che illumina la nostra strada e le da un senso. È un rivestimento di forza e di perfezione. Rivestiti di bianco, il giorno del battesimo, come lo saremo all’ultimo giorno, siamo chiamati a conservare ogni giorno lo splendore e a ritrovarlo grazie al perdono, alla preghiera e ad una vita cristiana. Il battesimo è il segno che Dio ci ha raggiunti lungo la nostra strada, che abbellisce la nostra esistenza e che trasforma la nostra storia in una storia santa…

Voi dovete vivere da cristiani in mezzo ai vostri fratelli. Per mezzo del battesimo Dio ci dona una madre, la Chiesa, con la quale noi cresciamo spiritualmente per camminare sulla via della santità. Questo sacramento vi integra in un popolo, vi rende partecipi della vita ecclesiale e vi dona dei fratelli e delle sorelle da amare, per “essere in Cristo (Gal 3,28). Nella Chiesa non ci sono frontiere; noi siamo un solo popolo solidale, costituito da gruppi diversi per cultura, per sensibilità e per modi di agire, in comunione con i vescovi, pastori del gregge. Questa unità è un segno di ricchezza e di vitalità. Nella diversità il vostro primo obiettivo sia l’unità e la coesione fraterna che permettono una serena crescita personale e del corpo intero.

 

Si ringrazia Oreste Arena, lettore istituito della parrocchia, per questo contributo.

Nel giorno di domenica “i fedeli devono radunarsi insieme, affinché nell’ascolto della parola di Dio e nella partecipazione all’Eucaristia, facciano memoria della passione, risurrezione e gloria del Signore” (Sacrosanctum concilium, 106). Dopo essere convenuta, l’assemblea liturgica è chiamata all’ascolto della Parola proclamata e non ad una semplice lettura; questo ascolto, inteso in senso biblico, non si limita all’udire materialmente, ma coinvolge tutto l’uomo ed ha ripercussione nella sua vita. La stessa predicazione costituisce non solo il commento domenicale delle letture sacre, ma anche la trasmissione del messaggio della salvezza proclamato nel corso della Liturgia della Parola. E’ dall’ascolto della Parola che nasce la fede!
La Parola, però, per diventare efficace e giungere agli orecchi del popolo radunato, ha bisogno di una voce che la faccia risuonare. Il primo servizio del lettore istituito o di fatto è la proclamazione della Parola nell’assemblea liturgica; questo richiede la consapevolezza di essere il portavoce di cui Dio si serve per suscitare, risvegliare e far vibrare la fede in quanti ascoltano, ma anche l’avere acquisito alcune nozioni tecniche di base. La proclamazione liturgica è fatta da uomini per altri uomini e porta con sé, quindi, i difetti degli uomini. Ecco alcuni suggerimenti utili a superare le più frequenti difficoltà.

  1. Il lettore deve essere consapevole dell’importanza del servizio liturgico a cui è chiamato. Deve svolgerlo con fede e attenzione, ricordando che non si è veri proclamatori della Parola di Dio se prima non si è stati attenti suoi uditori.
  2. I testi liturgici vanno letti in anticipo, cercando di capirne bene il significato, altrimenti chi ascolta non comprenderà quanto viene proclamato.
  3. Si devono pronunciare con senso e con chiarezza tutte le parole, evitando il tono dimesso, la monotonia della voce, la pronuncia indistinta, ma anche l’enfasi, la retorica, le cantilene.
  4. È necessario rispettare i ritmi e i tempi del testo, le pause e gli stacchi, per dare modo a chi ascolta di accogliere quanto si sta proclamando.
  5. La punteggiatura indica le pause per la lettura e per la comprensione del testo. Si legge con calma, respirando ad ogni capoverso, o prima di ogni concetto importante.
  6. Leggendo una preghiera occorre “pregare con il cuore”.
  7. Non vanno lette le indicazioni rubricali: “Prima Lettura”, “Salmo responsoriale”, ecc.
  8. Quando si leggono presentazioni o introduzioni, è meglio usare un tono diverso, non solenne come quello per proclamare la Parola di Dio.
  9. Se è necessario, conviene fare delle prove con il microfono, in presenza del sacerdote o altri, in modo che la voce risulti chiara e comprensibile, e non rimbombi. In assenza del microfono, è sempre consigliabile fare delle prove di lettura a voce alta.
  10. Ci si accosta al leggio senza fretta, facendo prima riverenza all’altare con un inchino; così pure nel ritornare al proprio posto. Si inizia la lettura quando tutti sono seduti e in silenzio. La paura e l’ansia si vincono con una respirazione ampia e profonda. E’ importante anche assumere una corretta posizione di lettura; la più idonea è quella che vede il tronco ben dritto, le spalle ed il petto eretti, la persona appoggiata sui piedi leggermente divaricati, la testa alta perché la voce giunga bene all’assemblea, la mani posate ai lati del libro o del leggio.


Bisogna ricordare a coloro che prestano con generosità questo servizio, che non è necessario che siano o diventino dei professionisti. Infatti, non sempre un buon dicitore può assolvere la funzione di lettore nella proclamazione liturgica. Un bravo speaker radiotelevisivo sa farsi ascoltare magistralmente, ma non sempre risulta efficace nella proclamazione, per il tono eccessivamente livellato, freddo e distaccato della voce. Un attore è portato alla declamazione e all’interpretazione teatrale, che esige una forte carica interpretativa soggettiva, ma proprio questa bisognerebbe invece evitare. La proclamazione liturgica esclude entrambi i tipi di lettura; essa esige un certo solenne distacco, ma nello stesso tempo, anche un tono vibrato e partecipato. Essa si astiene da ogni personalismo di interpretazione, ma assumerà un tono diverso per calore e colore a seconda del contenuto della lettura.
Si tratta, in definitiva, di pronunciare ogni parola della Bibbia con cuore spalancato, carico d’amore e d’umiltà: l’amore impedirà letture frettolose e superficiali; l’umiltà terrà lontano dalla vuota enfasi e dalla fredda declamazione.
Continua...

Oreste Arena

 

Si ringrazia Oreste Arena, lettore istituito della parrocchia, per questo contributo.

Amala così com’è,
rispettala, con tutti i suoi pregi ma anche con i suoi difetti, che invece di criticare dovrai imparare a tollerare.


Amala fino in fondo,
oltre il limite del possibile, del “tuo” possibile, che ben conosci ed egoisticamente ti rifiuti di superare.


Amala teneramente,
accoglila, abbracciala, sii sempre pronto a donarle il conforto della tua comprensione, così come il calore di un bacio.


Amala generosamente,
incoraggiala, sostienila anche quando ti sembra che non voglia alcun aiuto, supera anche questa barriera, pensa prima a lei che a te stesso, non aspettarti mai nulla in cambio di tutto quello che fai.


Amala fiduciosamente,
confidati con lei come se fosse la tua migliore amica, rendila partecipe di progetti e speranze, condividi e non imporre, cerca insieme a lei il “cointeresse” e con lei apri il cuore verso il prossimo.


Amala sempre con costanza,
parlane bene, abbi sempre fede in tutto ciò che fa, valorizzala, cercala, benedicila, non stancarti mai di dirle: “Ti amo!”.


Dal mio angelo, per la mia Angela
Oreste Arena

 

Si ringrazia Oreste Arena, lettore istituito della parrocchia, per questo contributo.

Un triste giorno, un uomo solitario deluso della sua esistenza, sentendosi respinto da tutti, chiese al Signore che si riprendesse la sua inutile vita, poiché nella sua disperazione desiderava la morte. Pianse quell’uomo, mentre il tempo scorreva inesorabilmente e la sua anima sprofondava nel dolore; …ma Dio (persino Lui!) non rispose.
Allora, per scacciare l’angoscia e la solitudine che sempre più lo attanagliavano, soffocandogli l’esistenza, decise di uscire di casa, girovagando senza meta. Giunto sul portone di una chiesa vi entrò, sperando di potervi incontrare una persona che lo aiutasse.
Si guardò intorno finché, nella penombra, gli sembrò di scorgere qualcuno dall’aspetto familiare che lo stava osservando. …Era il Crocifisso! Lo guardò meglio, strofinandosi gli occhi. Gli sembrava di vederlo per la prima volta. Eppure lo sentiva così simile a sé, così solitario nella sua muta e angosciata sofferenza, che avrebbe voluto abbracciarlo, consolarlo, ma al tempo stesso essere accolto, abbracciato e consolato da Lui, l’unico che avrebbe potuto comprenderlo e aiutarlo, l’unico al quale poter confidare - quasi cedere - il proprio dolore, come si farebbe con un amico o un fratello. Guardandolo fisso, gli parve persino di riconoscersi nell’immagine del Crocifisso, come se stesse vedendo la propria immagine riflessa in uno specchio. Poi, ad un tratto, gli sembrò di udire anche la sua voce:
“…Ma come, solo ora ti accorgi di me? Solo adesso capisci quanto sono solo e che angoscia provo? E quanto desidero aiutarti. …Oh, se solo me lo chiedessi! …Eppure sono qui da tanto tempo, da molto prima che tu nascessi. …Ora che sei un po’ più maturo e che capisci di somigliarmi, vorresti abbracciarmi. Ma lo sai che puoi farlo ogni volta che lo desideri? In ogni momento della tua giornata? In ogni situazione della tua vita? …Corri fuori della chiesa e guarda!”.
L’uomo, in lacrime, uscì dalla chiesa e corse in strada, giusto in tempo per scorgere un barbone, triste e solitario che, semi-ubriaco, si allontanava barcollando. Quel povero derelitto, portava dentro di sé un dolore così pesante e una desolazione così grande che la gente, troppo chiusa nel proprio egoismo, troppo distratta, superficiale e frettolosa, non riusciva a scorgere. Un dolore proprio come il suo, …proprio come quello di Gesù!
Avrebbe voluto seguirlo per capire dove era diretto e quali fossero le sue abitudini e i suoi bisogni, per cercare di alleviare almeno un poco le sue sofferenze. Era sicuro che anche lui avrebbe fatto la stessa cosa nei suoi confronti, se solo avesse avuto il coraggio di guardarlo negli occhi, fino in fondo al cuore…
Piangendo, l’uomo ritornò a casa sua. Ma non pensava più alla morte; la vita, qualunque vita, meritava molto più rispetto e considerazione, compresa la sua! Da domani l’avrebbe spesa in un modo migliore. Per sé e per il prossimo.
Ne aveva tutto il tempo…

 


“Bisogna uniformarsi al divino volere non solo nelle cose avverse che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, la povertà, la morte dei parenti e simili; ma ancora in quelle che ci vengono per mezzo degli uomini, come sono i dispregi, le infamie, le ingiustizie, i furti, e tutte le specie di persecuzioni. In ciò bisogna intendere che quando noi siamo offesi da qualcuno nella fama, nell’onore o nei beni, benché il Signore non voglia il peccato di costui, vuole nondimeno la nostra umiliazione, la nostra povertà e mortificazione”.

Alfonso Maria de’ Liguori

 

Si ringrazia Oreste Arena, lettore istituito della parrocchia, per questo contributo.

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