Riflessione sulla Solennità di Tutti i Santi di Oreste Arena
Solennità di Tutti i Santi; Solennità antichissima della Chiesa che intendeva onorare quegli amici di Dio, canonizzati o no, che sono in possesso della gloria del cielo. La Chiesa, da sempre, ha la gioia di esaltare questi suoi membri eletti che formano l’assemblea festosa dei fratelli “divenuti modello di vita e insieme potenti intercessori” (Lumem Gentium 50).
Ma, - mi sono chiesto - se i Santi è possibile incontrarli, ascoltarli, conoscerli, com’è possibile per noi, comuni esseri umani, comprendere e riconoscere la santità? Che cosa può fare oggi di un uomo normale, un Santo? E infine, chi è veramente il “Santo”?
È una caratteristica dei santi Vivere il Vangelo di Cristo senza fare sconti e riduzioni a sè stessi, cercare prima di tutto il Regno di Dio e porlo sopra ogni altra cosa o pensiero, fidare solo nella Provvidenza Divina che giorno per giorno, attimo per attimo, provvede a tutte le nostre necessità. E ogni cristiano autentico è santo sempre, in tutta la sua condotta, perché Santo è il nome di colui che lo ha chiamato e perché, pur avendo messo Dio al primo posto nella sua vita, non ha mai smesso di vivere da uomo normale. Non gli è stato chiesto, né la cosa gli è apparsa mai necessaria.
Eppure, i cristiani di oggi, a qualunque confessione appartengano, dimostrano di temere di vivere da santi, come se la santità fosse sinonimo di fragilità o debolezza, di rinuncia alla carriera (vera o presunta) e alle comodità e ai privilegi acquisiti, oppure di offuscamento di un’immagine sociale, ritenuta dignitosa e rispettabile, che nel corso degli anni si sono costruita. Molti, inoltre, vedono nel santo il goffo tentativo di sostituire a Dio un povero essere umano, per farne un oggetto quasi di culto (e spesso questo, purtroppo, sembra apparire vero)…
La santità, però, esiste davvero e risplende in tutti i credenti; il cristiano, in particolare, quanto più s’impegna nelle cose ordinarie della sua vita (la famiglia, il lavoro, la casa, gli amici, ecc.), tanto maggiori occasioni avrà per vivere la straordinarietà del Vangelo nell’ordinario della propria esistenza. La santità sarà, allora, la sua normalità di figlio di Dio.
E non preoccupiamoci di fare dei santi esempi edificanti da porre sugli altari per essere oggetto di venerazione, perché i santi sono in mezzo a noi! La santità, quando c’è, non si vede, non si vanta e non si fa notare; chissà quanti santi ci sono stati o lo sono tuttora, vicini nella nostra vita, nostri parenti, amici, compagni o semplici conoscenti, nostri colleghi, vicini, dipendenti o alunni, che ci hanno dato il loro aiuto discreto e disinteressato, che ci hanno fatto del bene edificandoci con la loro condotta, che ci hanno donato silenziosamente il loro amore e per i quali non abbiamo avuto né considerazione, né rispetto o gratitudine…
Basterebbe così poco… Basta uno sguardo e un sorriso per passare dalle cose materiali a quelle spirituali. Ma in quello sguardo e in quel sorriso deve esserci tutto il Paradiso! Basta fermarsi qualche secondo in più per amare un fratello come lui vorrebbe, facendoci carico dei suoi pesi, o per lasciarsi amare da lui, svuotandoci da ogni nostro pensiero e dimenticando la fretta. La fretta, questa cattiva consigliera che sempre più sta dominando le nostre vite, condannandoci alla morte spirituale.
Amarsi, dunque, fra noi e con tutti senza fretta, come suggeriva una santa di oggi, senza superficialità, ma perfettamente, senza trascurare nessun particolare. La santità, allora, si propagherà come un fuoco e diventerà facilmente riconoscibile perché noi stessi ne saremo contagiati.
Oggi più che mai la santità è necessaria per la nostra salvezza; ma non dobbiamo pensare di poterci salvare con le nostre sole forze, perché il mondo di oggi, dove tutte le distanze si sono ridotte e dove tutti sanno di tutto, non lo consentirebbe. Abbiamo bisogno dei nostri fratelli per salvarci tanto quanto loro hanno bisogno di noi. In altre parole, c’è bisogno di una spiritualità comunitaria che diventi santità di popolo.
Papa Giovanni Paolo II, non molti anni fa, ebbe a dire che “una spiritualità comunitaria o collettiva è un aspetto costitutivo della vocazione cristiana”, perché – egli diceva – “il Signore Gesù non ha chiamato i discepoli a una sequela individuale, ma inscindibilmente personale e comunitaria”. Egli, poi, dà della Chiesa la definizione che usò il Concilio nella Lumen Gentium, 1: “Icona della Santissima Trinità” e “mistero di comunione e sacramento di unità”, per cui “la comunione tra i membri della Chiesa è il primario e il principale segno che essa offre perché il mondo possa credere in Cristo”. Infatti, – proseguiva - “Essere uno in Cristo è la prima e permanente forma di evangelizzazione attuata dalla comunità cristiana”.
Il cristiano di oggi deve poter realizzare quella che Giovanni Paolo II ha definito “la nuova evangelizzazione”, perché è il nostro tempo che lo esige. Per il papa, infatti, evangelizzare significa formare in Cristo “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Ecco delineato il nuovo modello di santità di cui si diceva più sopra - la santità di popolo - e le nuove figure di santi-insieme che, vivendo una spiritualità di comunione, sono capaci di rivelare Cristo, vivente in mezzo a loro, a tutti gli uomini.
La schiera dei Santi che sono arrivati in Paradiso e che già vivono in questa dimensione, ci aspetta, desiderosa solo di averci con loro e pronta ad accoglierci in comunione celeste con la Santissima Trinità.
Coraggio, allora. Abbiamo tanti stimoli per puntare alla santità, ma con amore verso i fratelli, consapevoli di avere bisogno anche di loro, e senza avere fretta…